Il nome a dominio è innanzi tutto un accorgimento tecnico utile per identificare in maniera più agevole l’indirizzo IP di un sito internet, il quale, essendo una stringa numerica, è difficilmente memorizzabile dal cervello umano. L’IP viene quindi tradotto in un indirizzo DNS (Domain Name System), consistente in parole che facilitano l’utente nel reperimento del sito desiderato. A sua volta il DNS consta di due parti, il TLD (Top Level Domain), che per l’Italia è “.it”, come una sorta di targa, e il SLD (Second Level Domain), la parola identificativa vera e propria.
I nomi a dominio vengono assegnati secondo le regole fissate dalla Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, che per l’Italia ha delegato, nel 1987, il CNR per la gestione dei domini “.it”, attraverso l’ente Registro.it. Il principio secondo cui un nome a dominio viene assegnato è quello del “first come first served”: ottiene la registrazione il primo soggetto che richiede l’assegnazione di un dominio ancora libero, senza alcun previo controllo di legittimità.
Per quanto riguarda la natura giuridica del nome a dominio, il primo orientamento emerso in Italia è stato quello secondo cui esso è un mero mezzo operativo e tecnico logico, che pertanto non può porre problemi di interferenza con diritti di esclusiva, quali ad esempio i segni distintivi. E’ stato proprio l’uso commerciale dei nomi a dominio a sollevare questo problema: i SLD infatti possono coincidere con marchi o segni distintivi di altri soggetti, o in ogni caso possono apparire molto simili. Si è quindi affermato che “per la sua capacità di identificare l’utilizzatore del sito web ed i servizi di varia natura da essi offerti al pubblico, il nome a dominio assume le caratteristiche e la funzione di un vero e proprio segno distintivo, che può dar luogo a problemi sul piano della tutela della proprietà intellettuale, potendosi verificare casi di confusione con i segni distintivi di altre imprese, anche non presenti sulla rete Internet”.
Il Codice della Proprietà industriale contiene una, seppur piccola, disciplina dei nomi a dominio: in particolare, meritano di essere ricordati l’art. 22 che, affermando il principio dell’unitarietà dei segni distintivi, inserisce tra essi, per la prima volta e a pieno titolo, il nome a dominio; e l’art. 118 comma 6, che sanziona la registrazione in malafede di un nome a dominio, o la sua interferenza con altro segno distintivo.
La fattispecie più frequente di illecito ex art. 118 comma 6 CPI è il Cyberquatting, cioè l’occupazione di nomi a dominio identici o simili a marchi celebri, mediante la quale il soggetto registrante può trarre profitto rivendendo il dominio stesso al legittimo titolare a caro prezzo (il quale spesso preferirà pagare questo prezzo piuttosto che avviare un iter processuale, probabilmente ancor più costoso).
I rimedi però esistono e sono:
1) l’opposizione presso il Registro, che apre la via a due procedure:
− l’arbitrato irrituale per risolvere la controversia tra cybersquatter e titolare;
− la riassegnazione, condotta dai PSRD (Prestatori di Servizio di Risoluzione delle Dispute);
2) il giudizio di merito, all’esito del quale è prevista la revoca e la successiva riassegnazione del nome a dominio all’avente diritto;
3) l’inibitoria cautelare e il trasferimento provvisorio del diritto di utilizzo del nome a dominio.